L’orchestra, con tutte le sue diversità timbriche, sta al compositore come la tavolozza dei colori sta al pittore: come quest’ultimo riesce a creare sottili ed infinite sfumature impastando e fondendo tinte disparate, così il compositore, armonizzando tra loro timbri diversi, riesce a donare un’infinità di coloriti sonori alla sua musica.

La strumentazione per orchestra è un’Arte nell’Arte: non sempre gli autori, anche famosi, ne sono stati all’altezza. Se dovessimo assegnare un voto a Schumann come orchestratore non andrebbe oltre la sufficienza, eppure stiamo parlando di un musicista colto, preparato, sensibile. E Chopin? Compositore sorretto da una profonda conoscenza contrappuntistica, predilige quasi sempre un tessuto musicale che s’ispira chiaramente ad una visione “sinfonica”; quando tuttavia si cimenta con l’orchestrazione, è praticamente inesistente! Liszt, al contrario, non solo è un magnifico orchestratore ma può addirittura definirsi a pieno titolo l’inventore dell’orchestra sinfonica moderna: non solo per l’organico ampliato con l’aggiunta di strumenti usati in precedenza solo sporadicamente (Flauto piccolo, Arpa, Corni raddoppiati, Tromboni e Percussioni) ma soprattutto per il modo davvero nuovo con il quale tratta il loro uso.
L’effetto che ne ottiene è sbalorditivo!

Nella ricerca del Bel Suono, il pianista non può prescindere da alcune considerazioni preliminari in ordine alle differenze tra l'orchestra (modello ideale di espressività) ed il pianoforte.

Riguardo all’orchestra osserviamo quanto segue:

1 – La diversità timbrica di ogni strumento è distinguibile nell’armonia generale; questo consente che in uno stretto registro possano confluire diversi strumenti, di differente tipologia, senza che s’ingeneri una qualche confusione (vedi es. sotto).

2 – Gli strumenti hanno la possibilità di mantenere a lungo un suono e sono in grado di aumentarne o diminuirne il volume a piacimento.

3 – Il legato è perfettamente eseguibile; così lo staccato e il pizzicato.


Nel pianoforte, invece, osserviamo:

1 – Nessuna diversità timbrica; solo 88 tasti meccanicamente uguali; difficile, e spesso impossibile, agire con più parti nello stesso registro.

2 – Impossibilità totale di mantenere un suono, né di aumentarne o diminuirne il volume. 

3 – Il pizzicato rimane un sogno, il legato una pia illusione...

A tutto questo si aggiunga lo svantaggio, di natura psicologica, per il distacco che ci separa fisicamente dalle corde.

Quali possibili alternative abbiamo, noi pianisti, per rendere il nostro strumento simile ad un’orchestra? Una sola: possiamo percuotere il tasto più forte o meno forte (non venite ora a dirmi che si possono creare cento, mille coloriti diversi. Lo so! Ma preferisco andare per gradi).

Eppure questo nostro strumento, solo ed esclusivamente meccanico, sul quale ogni sorta d’espressività va costruita artificialmente, ha affascinato – e ancora affascina – migliaia, milioni di compositori, dai più grandi ai più modesti!
Credo che questo fenomeno, almeno all’origine, sia da ricercarsi prevalentemente in motivi di ordine pratico: gli autori vissuti nel secolo d’oro – il 1800, l’epoca in cui il Pianoforte raggiunse il suo massimo splendore – dalla vendita delle loro opere traevano un profitto necessario al proprio sostentamento, pertanto un’opera concepita e realizzata per un solo esecutore si sarebbe venduta più facilmente di un trio o quintetto scritto per strumenti diversi... 

Esempio di frammento orchestrale, praticamente impossibile da eseguire sul Pianoforte:

 

 
 

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