Se parliamo la nostra lingua correttamente, chi ci ascolta potrà percepirne anche la punteggiatura. Come mai?
È semplice: la deduce dalla nostra voce che, in chiusura di periodo, scende sempre di tono verso il basso. È una regola fissa che si apprende istintivamente già da bambini, senza neanche farci caso. Oggi purtroppo è incredibilmente disattesa, specialmente da parte di coloro che dovrebbero rispettarla più di ogni altro: gli annunciatori televisivi. Infatti, qualcuno di essi (subito imitato), forse nel tentativo di dare calore al discorso evitando la freddezza di una lettura, ha introdotto l’opzione di pronunciare in maniera separata le ultime parole di un periodo; così avrebbero acquistato più forza. Per realizzare questo ha dovuto anticipare la discesa del tono di voce.
L’esito – potete verificarlo da soli - appare lampante nel seguente esempio. Una ipotetica notizia di cronaca, come questa:
“Ieri, a Rucola, si è svolto il congresso nazionale degli esportatori di cavolfiori. Molti i partecipanti. Alla manifestazione è intervenuto anche il Sindaco!”
letta dal nostro annunciatore, si ascolterà così:
“Ieri, a Rucola, si è svolto il congresso nazionale degli esportatori di cavolfiori. Molti i partecipanti. Alla manifestazione è intervenuto! Anche! Il Sindaco!”
Terribile! Inascoltabile! Richiama alla mente la guida dei neo-patentati i quali, dovendo arrestarsi, riescono a farlo dopo due o tre tentativi… Meno male che esistono ancora gli attori di teatro; sentirli parlare correttamente l’italiano è un’autentica gioia, un sollievo per le orecchie!
Ancora una considerazione: questo meccanismo della discesa di tono non è un fatto presente solo nella lingua italiana. Personalmente, oltre alla mia lingua, parlo francese e tedesco, ho studiato a fondo l’inglese, capisco lo spagnolo e il portoghese, biascico qualche parola di russo e sono stato a contatto con lingue dell’Europa orientale; ebbene, vi posso assicurare che lo stesso meccanismo è ugualmente in uso anche in tutti questi idiomi.
Il periodo musicale ricalca esattamente le orme del linguaggio parlato, perciò andrebbe soggetto alle stesse regole. Qui tuttavia non è possibile intervenire sulla discesa di tono; i suoni sono quelli scritti dall’autore e non si toccano! Si aggiunga a questo che, nel suo percorso orizzontale, anche la più semplice tra le melodie non procede mai in linea retta. Al suo interno è facile scorgere lievi increspature, un susseguirsi di compressioni e distensioni; la sinuosità che ne deriva va considerata come un fattore irrinunciabile ai fini dell’espressività.
Come evidenziare queste microscopiche increspature? C’è solo un mezzo (non mi stancherò mai di ripeterlo): modificare la quantità di volume sonoro.
Domanda: Quando si deve intervenire?
Risposta: In presenza di tutti quegli elementi del tessuto musicale che devono assolutamente essere posti in risalto, se si vuole riuscire a realizzare quella condizione tridimensionale, quella profondità di campo, la stereofonia.
E qui mi tocca farne una lista, almeno di quelli più essenziali, dividendola in due settori: orizzontali e verticali.
ELEMENTI ORIZZONTALI:
1 - Accenti ritmici (movimenti iniziali della misura)
2 - Accenti tonici (relativi al fraseggio)
3 - Suoni sui quali figura un’articolazione (accento, trattino, puntino)
4 - Suoni accompagnati da un’espressione (sforzato, forte-piano)
5 - Appoggiature con risoluzione
6 - Ritardi con risoluzione
7 - Alterazioni provvisorie (diesis, bemolle, ecc. C’è una modulazione!)
8 - Qualsiasi altro segno apposto dall’autore.
ELEMENTI VERTICALI
1 - La nota superiore (se non ci sono elementi secondari da porre in risalto)
2 - Situazioni armoniche dissonanti (settime, none, ecc.)
3 - Situazioni accordali di quarta e sesta
4 - Alterazioni provvisorie nelle parti interne o al basso (modulazione!)
5 - Accordi sui quali figura un’articolazione (accento, trattino, puntino)
6 - Accordi accompagnati da un’espressione (sforzato, forte-piano)
7 - Qualsiasi altro segno apposto dall’autore.
Se oggi siamo in grado d’ammirare una costruzione di grande valore artistico, lo dobbiamo non solo al genio dell’architetto che l’ha ideata, ma anche a tutti quegli umili e capaci operai, che hanno saputo allineare così bene i mattoni!
Gli elementi che ho elencato sono i nostri mattoni. Purtroppo, non abbiamo gli operai per metterli in ordine; dovremo farlo noi stessi!
E’ l’unica alternativa, se si vuole almeno tentare di far lievitare un mestiere artigianale, come il nostro, per farlo giungere al livello di ARTE!
Affinché tutti gli elementi sopra elencati risultino in evidenza, bisogna dar loro un’accentuazione espressiva. Questa può essere realizzata in due modi:
1 – Accentuazione diretta: si aumenta il volume sonoro.
2 – Accentuazione indiretta: l’ascoltatore percepisce un’inflessione espressiva, pur avendo noi mantenuto inalterato il volume sonoro.
Com’è possibile ciò? È un fenomeno che non esiterei a chiamare indotto; derivato, cioè, da quanto è in uso nella lingua parlata. Dal canto mio, l’ho incluso insieme ad altri in una lista che mi è sempre piaciuto definire “le suggestioni d’ascolto”.
Per capirlo è necessario tornare al linguaggio parlato, non dimenticando che il connubio “parola e musica” ha progredito insieme per secoli. Come ho scritto in precedenza, un linguaggio (e tutte le sue sfumature) si apprende già da bambini, per imitazione e senza conoscerne le regole. Poi, a scuola, queste ci saranno spiegate; e apprenderemo, tra l’altro, che ciascuna parola ha un suo accento, acuto o grave che sia. Ma è poi vero tutto ciò? O meglio: l’inflessione che ci permette di distinguere, per esempio, la parola ancora da àncora, si può considerare un vero e proprio accento oppure no? Io dico di no.
È soltanto un impercettibile aumento di durata, come era già nella lingua latina nella quale c’erano vocali lunghe e vocali brevi. In effetti, quando pronunciamo i due vocaboli sopra citati, noi diciamo istintivamente aa-ncora e annc-ora (non sono errori di battuta, è la trascrizione fonetica del nostro linguaggio parlato). Come mai, allora, da un allungamento di durata riceviamo una sensazione d’accento (di maggiore sonorità, quindi)? Seguitemi con un po’ di pazienza:
L’accento è una diversificazione. Anche l’allungamento lo è. Avete mai notato quante diversificazioni siamo costretti ad effettuare nella vita pratica, quella di tutti i giorni? Ve ne cito alcune, a caso:
1 – Prendere fiato, prima di parlare.
2 – Spiccare un salto.
3 – Salire o scendere dai marciapiedi.
4 – Scansare una pozzanghera.
5 – Sospirare.
6 – Lanciare un sasso.
Potrei continuare a lungo ma mi fermo qui. Orbene, tutte le attività elencate (e le altre che ho omesso) hanno in comune un particolare: per produrle occorre una preparazione e questa comporta un tempo, magari microscopico, tuttavia reale. Il precedente ed il conseguente (preparazione e accentuazione) sono in così stretta relazione tra loro da divenire inseparabili. Costituiscono, in pratica, un fatto unitario, inscindibile; al punto tale che - torniamo alla musica - basta appena aumentare il valore di un suono (preparazione) perchè il successivo venga automaticamente percepito diverso (accentuato!) dal nostro cervello. Ecco, dunque, cosa intendevo dire quando parlavo di “suggestione d’ascolto”.
Ma c’è anche di più: quest’automatismo tra i due elementi, da noi recepiti per suggestione d’ascolto, in certi casi torna molto utile. Infatti, realizzando solo una preparazione e niente altro, otterremo in cambio un’inflessione espressiva profonda ed efficace, senza essere costretti a brutalizzare il suono successivo appioppandogli un vero e proprio accento; a tutto vantaggio di un bel suono. Quanto scrivo non è frutto di sterili elucubrazioni, ma il risultato di esperienze didattiche ripetute centinaia di volte. Spesso, infatti, nel corso di una lezione dedicata al problema del suono, sedevo al pianoforte e richiamavo qualcuno dei miei ragazzi ad ascoltare con attenzione, mentre eseguivo una breve e semplice melodia.
Quindi gli chiedevo se avesse notato qualche differenza di sonorità nella mia esecuzione ed egli mi rispondeva, sicuro:
"Si, maestro. Il sol diesis era più forte, quasi accentato".
Niente di più falso! Mi ero limitato solo ad allungare impercettibilmente il suono precedente a quel menzionato sol diesis…
Come lo chiamereste voi questo miraggio se non suggestione d’ascolto?

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