Anni fa avevo un allievo strepitoso - taccio il nome, poiché racconto di persona vivente e in carriera, a cui non ho chiesto il permesso di pubblicizzare fatti della sua sfera privata – che avevo guidato da tenerissima età (6 anni) fino al diploma (15 anni). La vita ci separò e per quattro anni non seppi più niente di lui. Lo ritrovai per puro caso a Siena, nel periodo dei corsi estivi. Fu lui, in verità, ad avvicinarmi, io non l’avrei mai riconosciuto. Avevo lasciato un bambino e mi ritrovavo davanti un giovanottone. Mi raccontò che, dopo il diploma, aveva studiato quattro anni con Guido Agosti e ancora continuava a farlo. Ne parlava in termini entusiastici. Mi disse pure che era in procinto di presentarsi al Busoni e mi chiese d’ascoltarlo; ciò fu possibile il giorno successivo nel Teatro dei Rinnovati. Ricordo che mi accomodai al centro della platea, per farlo sentire più libero mentre lui suonava su un gran coda Steinway al centro del palcoscenico. Ascoltavo con estrema attenzione; aveva conservato la fluidità congenita della mano, ora sostenuta da un maggior peso del braccio. Panismo impeccabile! Tuttavia qualcosa non mi tornava, non mi convinceva. Avvertivo quasi una mancanza di “presenza”, a sostegno dell’indiscutibile precisione meccanica; e questo finiva per privare l’esecuzione di quelle piccole sfumature, di quelle impercettibili “differenze” che, in fondo, fanno le grandi differenze. Quando terminò tacqui con lui di questi dubbi, per ovvi motivi. Non si può, pochi giorni prima di un concorso importante, intervenire con critiche e consigli dell’ultimo momento; c’è il rischio di fare peggio. Ci salutammo, lui mi abbracciò e promise che sarebbe venuto a trovarmi spesso in Conservatorio, come ai vecchi tempi. Lo rividi ai primi di settembre; la prima domanda che gli feci, naturalmente, fu:

- Allora? Il Busoni?

- Eliminato alla prima prova…

Non sembrava per nulla turbato del fatto; continuò imperterrito:

- Tanto adesso vado al Treviso e sbaraglio tutti!

Ma al Treviso successe la stessa cosa: eliminato alla prima prova. Così pure al Santander! E ogni volta che lo rivedevo aveva sempre la stessa espressione sorridente e spensierata. Quelle sconfitte non lasciavano una benché minima traccia nell’animo suo. Avrei tanto voluto consigliarlo di tornare da me, forse insieme saremmo riusciti a porre rimedio a questo calo di qualità, ma non potevo. Deve essere l’allievo ad avvertire in cuor suo la voglia, la necessità di affidarsi ad un nuovo maestro. Il miracolo avvenne, quando ormai non me l’aspettavo più. Fu nel luglio avanzato dell’anno seguente che mi chiese, con semplicità, di riprenderlo a lezione. Accettai di buon grado:

- Bene, così avremo tempo e calma per rimettere tutto in ordine.

- Beh, non tanto tempo! Tra poco più di un mese voglio ritentare.

Trasecolai! Ero rimasto di stucco:

- il Busoni e il Treviso? Come vuoi. Ma non ti posso garantire che in mese potremo fare miracoli.

Cominciammo a lavorare; in realtà non sapevo neanche da dove cominciare. Notavo sempre più questa mancata “presenza”; in aggiunta avvertivo nell’aria una specie di resistenza nell’accettare quanto gli dicevo, anche se gli riusciva di mascherarla a dovere dietro un atteggiamento di grande rispetto. Rispetto, ecco il problema, non amore, non fede. Queste ormai dovevano appartenere solo ad Agosti, suo Nume insostituibile. Un giorno gli chiesi a bruciapelo:

- Ma tu, dimmi la verità, non ti senti qualche volta avvilito per queste eliminazioni dai concorsi?

- Io? Assolutamente no, non ho nulla da perdere.

- Che vuol dire non ho nulla da perdere?

- Vuol dire che ai concorsi non sono io che suono…

- Non sei tu che suoni? E chi altro?

- Vede, Maestro, è il pensiero, l’anima di Agosti che suona. Io mi limito a prestargli le mani!

Capii in un lampo quello che cercavo da tempo! Eccolo scoperto, finalmente, il virus maledetto che gli impediva di assumere in prima persona una responsabilità piena e totale, ecco la causa di una totale assenza emotiva. Ero furibondo, ma mi trattenni:

- Dunque, quando suoni non avverti neanche paura?

- Paura? No, paura di che?

Allora sbottai, urlando:

Ragazzo, tu sei completamente folle! Se vuoi continuare con me dovrai ritornare ad essere te stesso, altrimenti fila via! E bada! Non potrai ingannarmi perché io lo saprò benissimo quando avverrà. E questo sarà quando ti vedrò vomitare per la paura che ti schiaccerà. Solo allora sarai maturo per affrontare un concorso!

Lo tormentai per un mese intero ma alla fine vinsi. Vinse anche lui. A Treviso sbaragliò tutti, al Busoni lo stesso; qui non gli riuscì di ottenere il 1° Premio – quando tutti, pubblico, stampa, giuria, lo consideravano già acquisito – per uno di quei giochi al ribasso del voto, messo in atto per motivi squisitamente politici, dai giurati d’oltre cortina. Non importa. Per tutti rimase il vincitore ideale. Io fui presente ai due concorsi e dovetti rispondere alla domanda – sempre la stessa – che mi porsero i giurati.

-Marvulli, come mai questo stupendo ragazzo lo scorso anno non fu capace di superare nemmeno  la prima prova?

Riuscii solamente a biascicare:

- Non so, non saprei…

Ditemi in coscienza, cari amici, potevo forse rispondere a quei signori:

- E’ semplice! L’anno scorso non aveva paura, quest’anno invece sì!

Mi avrebbero riso in faccia. Non fatelo voi adesso, vi prego. Giuro che è la sacrosanta verità!

 

FINE

 

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