Alla premiazione seguì il concerto dei vincitori. Se non ricordo male suonarono solo i primi tre classificati. Del francese non ricordo proprio nulla. Mi colpì molto, invece, Anna Maria Pennella, che sentivo per la prima volta. Un pianismo solido e scintillante, unito ad un’elegante visione musicale, la rendevano indubbiamente meritevole del 2° Premio conquistato. Inutile dire che attendevo con ansia la prova Fiorentino, che mai ancora avevo ascoltato al pianoforte; eppure in cuor mio già sentivo di tifare per lui. Finalmente arrivò il suo turno.

Quando attaccò la Sonata in fa maggiore K 332 di Mozart, lo ricordo come fosse ieri, ne rimasi letteralmente affascinato! Quello che mi saltò subito agli occhi fu l’efficienza del meccanismo; sbalorditivo ma nel contempo così naturale che, sotto le sue dita, ogni passaggio (anche il più ostico) pareva divenire facile. Il tutto sorretto da un’intelligenza musicale eccellente; lo si avvertiva in ogni sfumatura della dinamica, in ogni fraseggio. Sempre godibile e coinvolgente. Era un grande, senza alcun dubbio! Nel terzo movimento, l’Allegro assai, ebbi qualche lieve apprensione: Sergio l’aveva staccato velocissimo. Le sestine di semicrome crepitavano infallibili, senza problemi di sorta, rincorrendosi e rimbalzando giocose, nella splendida acustica della sala. Quasi un gioco pirotecnico di pregevole fattura.

Il fatto è che, nel procedere del brano mi parve avvertire, sia pure in maniera appena percettibile, un progressivo e costante aumento della velocità. Questo, alla fine, poteva costituire un serio pericolo per l’esecutore. Nonostante il rischio, tuttavia, quelle benedette sestine di semicrome continuavano a viaggiare a gonfie vele, come nulla fosse; e non se ne perdeva una. Ad un certo punto mi accorsi che non respiravo più per la paura, stavo contando le pagine che ancora mancavano alla fine! Quando l’eco dell’ultima nota si spense dolcemente, esplose scrosciante l’applauso del pubblico impazzito. Ce l’aveva fatta! Ma io avevo il cuore in gola!

Il giorno successivo ci lasciammo abbracciandoci: “Dobbiamo vederci ancora”, mi disse. “Lo penso anch’io”, risposi, “ora non mi scappi più!”.

Se qualcuno ci avesse detto allora che sarebbero passati più di trent’anni prima che il desiderio di entrambi si avverasse, non ci avremmo creduto. Finalmente, dopo più di tre settimane, papà ed io tornammo a casa. Qui trovammo una lieta sorpresa: il maestro Costa aveva informato la stampa del Concorso e i giornali locali uscirono a parlare di me con titoli su tre colonne, con le mie fotografie! Avevo onorato l’Italia, ma soprattutto la mia città. Il Sindaco ed il Consiglio comunale di Bari mi ricevettero con una cerimonia ufficiale, offrirono un rinfresco in mio onore e mi consegnarono anche una medaglia. Diavolo! Ero diventato famoso. Passati i festeggiamenti, la vita aveva ripreso il suo normale tran tran. La crisi post-diploma, comunque, poteva considerarsi definitivamente superata.

Nell’autunno del 1949 ottenni l’ammissione all’Accademia di Santa Cecilia a Roma e frequentai il Corso di Musica da Camera tenuto dal Maestro Arturo Bonucci; due anni dopo trovai lavoro in Svizzera e lì mi fermai per altri cinque anni. Ma questa è tutta un’altra storia, forse un giorno ve la scrivo.

Torniamo a Sergio Fiorentino. Prima di proseguire, però, è necessario che vi tracci un quadro che serva ad illustrare quelle che erano le condizioni di vita nel 1948, tanto diverse da quelle cui siamo abituati oggi. Ripensandoci, oggi, riesce difficile anche a me – eppure le vissi in prima persona – credere che siano realmente esistite! Provatevi ad immaginare un mondo senza televisione, senza computer, senza cellulare, senza fotocopiatrice, senza fax, senza registratore; niente internet, dunque, niente MP3, né CD o DVD. Avevamo la radio, è vero, ma non certo a modulazione di frequenza. L’auto? Solo roba per pochi ricchi! Riuscire ad ottenere un semplice telefono fisso era un’impresa! Dopo aver fatto domanda, si poteva aspettare per anni l’assegnazione di un numero. Ma la selezione diretta comprendeva solo il territorio urbano; per telefonare ad un paese distante solo 5 Km era necessario chiamare il centralino e attendere ore, qualche volta anche giorni, prima di riuscire ad essere collegati! La posta? Un’altra impresa! Una lettera in partenza da Bari poteva impiegare anche 3 settimane per arrivare a Napoli. Riuscite ad immaginare, adesso, un mondo fatto così?

Per questi motivi, lasciandoci, Sergio ed io ci scambiammo solo l’indirizzo delle nostre abitazioni. Nei primi tempi, profittando di amici comuni che viaggiavano per lavoro sul percorso Bari – Napoli riuscimmo a mantenere un contatto, ci scambiammo saluti, auguri. Poi, col passare degli anni, anche quest’opportunità svanì. Appresi per puro caso che era stato vittima di un incidente aereo ma era riuscito a rimettersi. Seppi anche che insegnava pianoforte complementare al Consevatorio S. Pietro a Majella di Napoli. Poi più nulla. Ci perdemmo completamente. Pensai che, forse, non l’avrei mai più rivisto e, credetemi, ne fui molto amareggiato!

 

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