Il giorno seguente il concerto con Sandor, l’orchestra rimase a Pesaro per il suo turno di riposo settimanale. Io, invece, passai tutta la mattinata all’autodromo d’Imola nel quale, grazie ai buoni uffici di Franco Scala, ero riuscito ad entrare di soppiatto. Me ne stetti accoccolato sulla gradinata più alta, semi nascosto da una transenna mentre Alain Prost al volante di una McLaren inanellava giri su giri nel circuito, a velocità pazzesca e in un frastuono assordante. Ogni tanto la macchina rientrava al box, i meccanici vi lavoravano intorno per circa mezzora e quindi il carosello riprendeva. Quando tornai in albergo, verso l’ora di pranzo, le orecchie mi fischiavano ancora e non ci sentivo quasi più! E meno male che di macchine in pista ce n’era stata soltanto una…
Verso le 5 del pomeriggio decisi di andare a trovare Fiorentino, impegnato a far lezione agli “Incontri col Maestro”. Appena giunto gli dissi:
- Ciao Sergio, ne hai ancora per molto?
- Un’oretta, forse; perché?
- Oh! Potremmo provare a due pianoforti questo 3° di Rachmaninov. Domani abbiamo la prova con orchestra; che ne dici?
- Va bene; torna verso le 6.
Me n’andai in giro, bighellonando per Imola, nell’attesa di lasciar trascorrere il tempo; quando tornai da Sergio, qualcuno degli allievi chiese timidamente se era possibile assistere alla nostra prova.
- Certo – rispose Fiorentino – anche questa è lezione.
Sedemmo ai due pianoforti; attesi che ci fosse silenzio e attaccai a suonare:
Re-e-e-mi re-e-e mi re…
Sergio mi fece, bruscamente:
- M’chè! Camin’, camin’!
- Ah! Ho capito, scusa.
Riattaccai a suonare, un poco più mosso.
Re-e-e-mi re-e-e mi re…
- Nooo! M’chè! Camin’, camin’!
Ripresi, ancora più mosso.
- M’chè! T’aggi’ ditt’: camin’, camìiin’!
- Ma! Scusa, Sergio, sulla partitura c'è scritto “Allegro moderato”
- Sin’, sin’! Non t’ preoccupann’, tu! Camìn’!
Riprovai. Adesso il tempo era molto mosso, ma a Sergio ancora non bastava.
- M’chè! Maronn’ o’ Carmine ! Che musciarìe’! E camìiin’!
“Moscerìa”? A me moscerìa? Cominciai a spazientirmi e gli feci, deciso:
- Ma Sergio, scusa! E Horowitz? L’hai sentito qualche volta?
- Ihhh! Lass’ perd’ Horovìzze! Chill’ è ricchiòn’!
A queste parole seguì una risata generale degli astanti, ai quali non mi restò che accodarmi volentieri.
Qualche tempo dopo, non ricordo più il luogo, mi capitò di raccontare questo episodio ad un collega pianista. Avevo appena cominciato a narrare, quando fui distratto da strani segnali che mi lanciavano, posti alle spalle del collega, un paio di allievi, i quali certamente conoscevano bene l’aneddoto: uno di loro strabuzzava gli occhi oppure ammiccava, l’altro agitava velocemente un dito indice nell’aria, quasi a voler dire “no”. Non mi andava d’interrompere la mia storia e decisi di continuare in ogni caso; più tardi avrei chiesto spiegazione di quei misteriosi segnali. Ma più andavo avanti, più aumentava l’intensità degli stessi; l’allievo che prima strabuzzava gli occhi adesso agitava gli indici di tutte due le mani nell’aria, disperatamente, l’altro si copriva la faccia, quasi per non assistere ad una catastrofe. Ormai ero alla fine. Avevo appena pronunciato la prima parte della fatidica frase “Ihhh! Lass’ perd’ Horovìzze!”, quando, rapido come una folgore, un pensiero squarciò la mia mente e tutto mi fu chiaro in un attimo, compresi gli enigmatici segnali: il personaggio al quale ero sul punto di riferire dell’ epiteto affibbiato da Sergio Fiorentino ad Horowitz, era anch’esso ”nu ricchiòne” dichiarato e patentato! È pur vero che oggi la parola “gay” è entrata nell’uso comune, superando tutti i tabù di una volta, ma in napoletano il corrispettivo “ricchiòne” ha conservato intatto il suo significato notevolmente spregiativo. Come fare? Dovevo trovare un’alternativa per portare a termine il mio racconto e ci riuscii. Devo aggiungere che tutte queste considerazioni e la successiva decisione di sostituire l’epiteto incriminato occuparono la mia mente solo per un paio di secondi, non di più.
La frase alla fine risultò così:
-“Ihhh! Lass’ perd’ Horovìzze!...Chill’ è cretin'!"
Risultato: il mio collega rimase impassibile. E non gli riuscì mai di capire perché un paio d’allievi, alle sue spalle, si stava sganasciando dalle risate…
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