I più monumentali lavori orchestrali (un’opera di Wagner o una sinfonia di Mahler) sono sicuramente nati al pianoforte. E’ lì che il lavoro s’imbastisce, ma l’autore ha già in mente tutta l’orchestrazione. E’ raro vedere un compositore – parliamo di chi usa sistemi musicali tradizionali, naturalmente – che produca “a tavolino”. Stando vicino a Nino Rota per una vita intera l’ho visto molto spesso giocherellare col pianoforte, inventando motivi in continuazione, mentre tranquillamente intratteneva lucide conversazioni.

In altri casi l’autore scrive per pianoforte pensando all’orchestra e la scrittura ne è profondamente influenzata. Quanto ciò influisce sull’interprete?
Il pianista può legittimamente limitarsi a riprodurre quanto indicato nello spartito in funzione del proprio strumento oppure un interprete degno di questo nome non può assolutamente ignorare le caratteristiche della scrittura? 

Certamente è una questione di scelte. La capacità di andare più a fondo di una semplice lettura della grafia musicale arricchisce notevolmente la comprensione del brano e determina con maggior precisione il giusto rapporto delle dinamiche, con scelte appropriate di ordine tecnico e – importantissimo – di pedalizzazione.

Un esempio: Ravel, Sonatine

Ravel scrive questo brano per pianoforte, uno strumento che – ovviamente - si suona solo con due mani, quindi l’uso dei due righi è il più pratico per leggibilità. Tuttavia, è abbastanza facile constatare che il brano è pensato per più strumenti, ovvero un’orchestra. Lo si desume dalla scrittura, nella quale si nota la presenza di più parti, suddivise tra le due mani. Proviamo ad osservare insieme il frammento:

La mano destra esegue una melodia insieme con accordi.

All’inizio d’ogni misura è presente un segno d’arpeggio.

Nella mano sinistra sono visibili due parti diverse (notiamo che l’autore le scrive con molta precisione, non trascurando le pause).

Nella misure 18 e 20 alla sinistra c’è una terza parte (accentata).

Se l’autore avesse optato per l’uso di più righi, almeno tre, la scrittura sarebbe apparsa certamente meglio evidenziata in tutta la sua complessità. Ma Ravel adopera questa scelta raramente e solo quando non se ne può fare a meno; ossia quando il tessuto polifonico è notevolmente intricato e materialmente manca lo spazio per scriverlo tutto in due sole righe.

Cito, a memoria, qualche caso che ora mi viene in mente:

Jeaux d’eau (ultime due pagine).

La vallée des cloches (unico tra i sei Miroirs che appaiono, in verità, tutti abbastanza complessi da un punto di vista sinfonico).

Le gibet (tutto).

Ondine (due misure, per un paio di volte).

Certo ce ne sono altri, ovviamente, che tralascio per proseguire nell’analisi del nostro esempio.

Dunque: proviamo ad immaginarci di strumentare le quattro misure in questione, tenendo conto di tutto quanto è osservato in precedenza. Due ulteriori considerazioni, prima di procedere:

L’apparente semplicità del brano ed il suo colorito (piano) ci spingono ad ipotizzare un’orchestrazione “leggera” – con la melodia affidata magari a strumento solista – senza percussioni né ottoni (trombe e tromboni).

La presenza d’arpeggiati, descritti al punto 2, suggerisce nella nostra orchestra la presenza di un’Arpa, lo strumento più congeniale alla loro realizzazione.

Il risultato del nostro lavoro potrebbe essere, più o meno, il seguente:

(N.B. Per i Clarinetti in Si bemolle e i Corni in Fa – strumenti traspositori – ho preferito indicare i suoni reali per facilitare la lettura dell’esempio a tutti, anche a chi non ha alcuna dimestichezza con Partiture d’orchestra).

Questa, ovviamente, è solo una delle scelte possibili. Altre potrebbero essere: 

Affidare la melodia ai primi violini.

Affidare la melodia all’Oboe o al Clarinetto.

Nella prima ipotesi il canto assumerebbe una sonorità più nutrita, andando a perdere l’evidente caratteristica di “a solo” per assumerne una più “corale”. Nella seconda ipotesi, tenuto conto della tessitura acuta, l’Oboe o il Clarinetto offrirebbero un suono più stretto, quasi stridente, in netto contrasto con la dolcezza della melodia. Proprio in quel registro, al contrario, il Flauto si trova a suo agio (e Ravel, abilissimo strumentatore, mostra un’autentica predilezione per questo strumento; lo si evidenzia molto facilmente, osservando tutta la   sua produzione sinfonica). Le diverse scelte alternative, tuttavia, hanno un interesse relativo per la nostra analisi, in questo momento. Soffermiamoci, invece, a prendere in considerazione dalla stessa solo alcuni elementi, quelli che certamente potremmo definire incontestabili_

La melodia deve emergere su tutto il tessuto in modo distinto.

Le note staccate al basso vanno intese come “pizzicato” di archi.

Le note accentate vanno immaginate, senza ombra di dubbio, eseguite dai corni (nella tecnica della strumentazione si usa chiamarle “sostegni”)

La presenza dell’Arpa è irrinunciabile.


Proviamo ora a realizzare sul pianoforte (e col colorito giusto!) questi elementi. Non sarà facile, ve lo assicuro, avendo a disposizione soltanto due mani! E non andate a chiedere aiuto ai flessori o estensori; loro non lo sanno. Non perdete tempo in inutili e stupide varianti, non servono al nostro scopo, anzi! Farebbero solo più confusione. Attenti! Non sto dicendo che la tecnica non serve, ma che il suo impiego è molto più complesso di quanto in genere siamo abituati a fare. Infatti, saremo costretti ad usarne diverse tipologie “in contemporanea”: peso e sospensione (melodia e accordi), articolazione pronunciata (canto) ma anche solo sfiorata (arpeggi), peso controllato dell’avambraccio (pizzicati morbidi alla mano sinistra) e peso leggermente maggiore (corni accentati). E cosa dire del pedale? Nelle misure 17 e 19 appare indispensabile tenerlo abbassato, per non perdere gli accordi degli archi, ma così facendo si darà fastidio ai pizzicati che risulteranno inglobati nell’armonia. Usare il tonale? Si, quando funziona (forse una volta su dieci!), ma attenzione: l’uso del tonale va fatto con una precisione millimetrica, altrimenti vi trovate come a cadere nel vuoto senza paracadute! Mi fermo – ci sarebbe ancora tanto da dire – per non stancarvi troppo…

Se riusciremo a realizzare soltanto il 20% della nostra analisi, vi sembrerà di ascoltare un altro pezzo. In realtà si tratta solo di “quel” pezzo, rivisitato dando importanza a quello che ha scritto l’autore. Questo vuol dire interpretare.


N.B. Le quattro misure analizzate non costituiscono un fatto sporadico; me ne sono servito solo come esempio. Tutto il secondo Movimento della Sonatine è scritto a quel modo. 

A pensarci bene, anche il primo ed il terzo Movimento sono scritti così.


Oddio! A pensarci ancora meglio, mi viene adesso in mente che in pratica tutta la musica pianistica di Ravel è scritta allo stesso modo…dunque è sempre “pensata” per Orchestra…

 

Rimaniamo dunque con Ravel: due misure, a caso, dall’Alborada del gracioso.

 

Siamo sicuri che l’interprete, basandosi esclusivamente su questa scrittura pianistica (che appare semplice a prima vista) sarà in grado di cogliere l’esatto colorito del brano realizzandolo nel modo più efficace?

Siamo sicuri che si possa tranquillamente ignorare quanto era sottinteso dall’autore, che si coglie appieno nella seguente ipotetica strumentazione?

 

 

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